Ho visto il film L’uomo che verrà.
In un paesino vicino a Bologna durante la guerra la vita scorre fra mille difficoltà, bagliori di bombardamenti, fame, malattie e azioni partigiane. Un giorno arriva una pattuglia di nazisti. Fra questi c’è un nazista buono che prende un coltello e invece di sgozzare, sventrare qualche ostaggio (così venivano chiamati i civili, cioè donne, anziani e bambini) usa il coltello per tagliare una fetta di pane (bianco!) e la offre ad una bambina del posto. Nel buio della sala commossa incomincio a sorridere amaramente: penso a Pansa e so già come finirà.
E difatti in una sequenza seguente vediamo lo stesso nazista buono che viene freddato nella stessa buca che è stato costretto a scavare, con un colpo di pistola alla nuca (si sa che era pratica tipica dei partigiani rossi, comunisti e per di più vigliacchi - non dei patrioti eroi della Decima Mas – fucilare e freddare alle spalle!).
Proprio su quel paesino, e nei suoi pressi, si abbatterà poi la barbarie e la ferocia nazista che tutti conosciamo. Come per Via Rasella, sono sempre i partigiani la vera causa delle stragi.
Aggiungo: per chi non lo sapesse, la rappresaglia non è contemplata da nessun codice militare di guerra; che nei titoli di coda c’è scritto che le vittime furono 1737, (la più grande strage di civili nella seconda guerra mondiale in Europa) altrimenti chi l’avrebbe capito? E infine mi risulta che fosse pratica dei nazisti, appena occupata una zona particolarmente calda, imporre la politica del terrore, faceva parte cioè della loro strategia militare, e difatti nella zona di Marzabotto e Monte Sole la loro azione si sviluppava così per chilometri e non in qualche sperduto villaggio.
Non mi stupisce il film, che si inserisce perfettamente in una nella riscrittura della storia che oggi va per la maggiore. Mi stupisce soltanto che alcune realtà di sinistra si siano prodigate nel magnificarlo.
Renato Sarti
Teatro della Cooperativa
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