venerdì 19 settembre 2008

PER ABDUL. PERCHE’ NON SUCCEDA PIU’.

Abdul è stato ucciso per niente o per futili motivi…come dice l’arido linguaggio della magistratura.
Chi ha preso la spranga non l’ha fatto per paura o per legittima difesa, ha commesso un delitto a sfondo razzista, mosso da odio e rancore, consideratosi legittimato dal sentire intollerante, sciaguratamente diffuso. Questa Milano non ci appartiene. Non ci appartengono la violenza, il razzismo che si manifestano sempre più apertamente, in uno stilicidio di episodi quotidiani di intolleranza di cui sono vittime donne e uomini, quasi sempre inermi. La dilagante campagna razzista e la costruzione del nemico “altro” diventano funzionali a nascondere la questione politica della sicurezza sociale, della coesione e della giustizia sociale per tutti. L’altro e il diverso vengono additati quali cause del malessere sociale ed esistenziale. Il potere e lo sfruttamento si alimentano anche in questo modo. Per questo, per ragioni etiche, culturali e politiche, gridiamo con forza che non ci appartiene l’ideologia sicuritaria, incentrata sulla repressione e sulla costruzione di alibi culturali che autorizzano le ronde e la violenza privata. L’omicidio di Abdul è l’ultimo segnale di un’escalation xenofoba, che va arrestata. La milano democratica e antirazzista deve reagire. Milano deve reagire.

INVITIAMO TUTTI I CITTADINI sabato 20 settembre 2008 alle ore 14.30, alla manifestazione che partirà dai Bastioni di Porta Venezia e si concluderà in Piazza Duomo.
DON GINO RIGOLDI, MONI OVADIA, RENATO SARTI, NICO COLONNA.

giovedì 4 settembre 2008

I me ciamava per nome

I ME CIAMAVA PER NOME: 44.787 - Risiera di San Sabba

produzione Teatro della Cooperativa e Teatro Cultura Produzioni
ALTO PATRONATO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Patrocinio dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia
PREMIO DI PRODUZIONE RICCIONE PER IL TEATRO

I ME CIAMAVA PER NOME: 44.787 - RISIERA DI SAN SABBA

testo e regia Renato Sarti
da testimonianze di ex deportati raccolte da Marco Coslovich e Silva Bon
con Enrico Bertorelli,Tanja Pecar, Nicoletta Ramorino, Renato Sarti
Pochi sanno cosa sia stata, in tutto il suo orrore, la Risiera di San Sabba a Trieste, unico lager nazista in Italia munito di forno crematorio (da 3.000 a 5.000 le vittime). Un colpevole oblio ha soffocato fin dall’immediato dopoguerra le voci, a volte ha inquinato le prove, di quanto accadde poco più di mezzo secolo fa. Quando gli storici triestini Marco Coslovich e Silva Bon dell’Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli-Venezia Giulia mi hanno messo a disposizione le testimonianze dei sopravvissuti e le deposizioni dei carnefici (criminali nazisti responsabili fra l’altro dell’Aktion Reinhard, l’eliminazione di circa due milioni di ebrei in Polonia), mi sono immediatamente reso conto di avere fra le mani un patrimonio storico, sociale, politico e umano straordinario. Un patrimonio che, a differenza di quanto successo in precedenza, non andava dilapidato bensì valorizzato. Una visione “dal basso” e “dal di dentro” di quei terribili avvenimenti espressa con un linguaggio del tutto particolare. “Credo che ogni persona dovrebbe sapere e non dimenticare” afferma uno dei sopravvissuti. Questa frase l’abbiamo fatta nostra nella speranza che, in nome dei valori che ispirarono la Resistenza e la Lotta di Liberazione, la memoria storica di quel passato possa fare da argine, oggi, contro nuovi e pericolosissimi fenomeni nazionalistici, razzisti, xenofobi e di pulizia etnica”.
Renato Sarti

“Una delle cose più turpi, più tragiche dell’Europa, ma in particolare di questo paese, è il fatto della dimenticanza, di non avere una testimonianza viva, di non tenere vivo il ricordo di alcune cose che sono invece fondamentali. Le nuove generazioni nascono nell’oblio. Io quando posso, in qualsiasi circostanza, ricordo e dico: Guardate che il presente e il futuro nascono anche dalla memoria del passato, per criticarlo magari, ma per conoscerlo.”
Giorgio Strehler

Adesioni e sostegni SIMON WIESENTHAL DOCUMENTATIONZENTRUM di VIENNA Comunità Ebraica di Milano e Trieste - ANED (Associazione Nazionale Ex-Deportati) - IRSML (Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli-Venezia Giulia) - ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) - Civico Museo Risiera di San Sabba - LANDIS (Laboratorio Nazionale per la Didattica della Storia) - Teatridithalia - Teatro stabile Friuli-Venezia Giulia – Teatro Stabile la Contrada di Trieste - Teatro Miela/Bonawentura di Trieste - Smemoranda


I ME CIAMAVA PER NOME: 44.787 - Risiera di San Sabba
RASSEGNA STAMPA ESSENZIALE

Adolf Hitler ed il nazionalsocialismo, più di un cinquantennio fa, hanno perso la guerra decisiva. Diversamente un “Nuovo Ordine Europeo”, così lo chiamavano i nazisti, avrebbe regnato: un popolo di signori, gli ariani tedeschi, avrebbe dominato il continente intero; altri sarebbero stati ridotti in schiavitù, aizzati gli uni contro gli altri, assassinati; sfruttati fino alla morte ai lavori forzati; altri ancora, gli ebrei, sarebbero definitivamente scomparsi dalla faccia della terra. Il lager, la città del dolore, non era che una prefigurazione precisa e dettagliata di questo ordine nefando. Una esperienza estrema e determinante. Una lezione rara; un insegnamento che si deve tenere bene in mente di fronte agli odi etnici e nazionali che insanguinano, oggi, l’Europa e il mondo intero. Man mano che passano gli anni i testimoni oculari di questa esperienza vengono meno. Stringente si fa allora il problema di conservare la loro memoria e anche di saperla interpretare, di far rivivere le parole mute scritte sulla carta. Il teatro può aiutarci a raccontare ancora una volta, anche quando saremo soli. E’ questa forse – accanto ad altre naturalmente – la funzione civile e morale più alta che il teatro possa esprimere: aiutare a non dimenticare.
(Marco Coslovich, Istituto per la storia del Movimento di Liberazione nel Friuli-Venezia Giulia)

“… non si può e soprattutto non si deve fare spettacolo; e giustamente Renato Sarti si limita a “comunicare” nel più semplice e disadorno dei modi, i dati statistici, i documenti, i racconti dei superstiti, insomma quel poco o quel tantissimo che gli storici sono riusciti a ricostruire e raccogliere. Nessuna drammatizzazione, nessun tentativo di creare situazioni o atmosfere; in scena non ci sono che un tavolo, alcune sedie, uno schermo per diapositive; ma niente è vicino alla funzione e all’essenza insopprimibilmente umane e testimoniali del teatro più di quelle parole senza alone, di quei numeri, di quei nomi”.
(Giovanni Raboni, Il Corriere della Sera)

“… il rumore dei passi degli uomini portati alla morte; i carri bestiame in cui le vittime erano portate ai lager, senza acqua e senza cibo; i bambini esposti al gelo di Buchenwald; il parto di una prigioniera e l’agonia del neonato cui si negava ogni cibo… sono storie insostenibili. Storie che bisogna ricordare e ripercorrere, perché non si ripetano. Alla fine, non vi è giudizio estetico possibile, ma solo disperazione e gratitudine per chi ci ha guidati nel compito della memoria”.
(Ugo Volli, La Repubblica)

“E’ una serata dura, scomoda. L’ultima immagine di questa dolorosa ed efficace lezione di storia, un lager di Bosnia, è molto vicina: poche decine di chilometri dagli orrori di San Sabba.
(Oliviero Ponte di Pino, Il Manifesto)

“E’ uno straordinario storico, che propone le testimonianze orali di chi è sopravvissuto insieme alla ricostruzione di un’irripetibile frammento di storia”.
(Paolo Repetto, Liberazione)

“Un messaggio, una lezione da non perdere”. (Domenico Rigotti, Avvenire)

RITTER, DENE, VOSS

RITTER, DENE, VOSS



di Thomas Bernhard

traduzione Eugenio Bernardi

regia Renato Sarti

con Paolo Bessegato, Giorgio Ganzerli, Antonio Rosti

scene e costumi Carlo Sala

produzione Teatro della Cooperativa


Ritter, Dene, Voss. Potrebbe essere l’inizio di una filastrocca infantile. O una di quelle formule iniziatiche ormai scomparse, ultimo residuo di antichi riti magici che l’uso secolare ha ridotto a puro suono.Ritter, Dene, Voss sono i nomi di tre attori tedeschi, Ilse Ritter, Kirsten Dene e Gert Voss, primi interpreti dell’opera di Thomas Bernhard al Festival di Salisburgo nell’estate del 1986, per la regia di Claus Peymann. Nella pièce il solo Voss ha anche un nome di scena, Ludwig; mentre Ritter e Dene sono semplicemente la sorella minore e quella maggiore.E’ Dene ad iniziare, con frasi brevi, sintesi di concetti non correlati tra loro. Ritter, dalla sedia, con il giornale aperto e la sigaretta in una mano, la guarda e la ascolta con malcelato fastidio e disprezzo per la minuziosità con cui accomoda il grande tavolo da pranzo. Immerse nei ritratti di famiglia che adornano le pareti della sala, memoria di antichi e gloriosi fasti, le due sorelle, attrici, attendono l’arrivo del fratello Ludwig (Wittgenstein?) - filosofo paranoico e geniale di ritorno dal manicomio in cui si è rinchiuso volontariamente a pagamento - per consumare quella che si trasforma ben presto in una cena delle beffe.Ne nasce un ménage à trois ricco di doppi sensi e seduzioni tormentate, che svelano i rapporti incestuosi che legano i tre protagonisti: si celebra lo sfacelo di una famiglia, cui fa da sfondo quello dell’Austria post-Anschluss e pre-Haider.Renato Sarti, senza perdere di vista gli alti riferimenti filosofici e culturali del testo e senza perdere nulla del profondo dramma umano che lo permea, ne mette in evidenza gli aspetti comico-grotteschi, laddove la geniale scrittura di Bernhard trasforma il più profondo tormento in risata.Certo, sono considerato un cosiddetto scrittore serio, come Bèla Bartòk è considerato un compositore serio, e la fama si sta diffondendo (…) In fondo non è per niente una bella fama. Mi mette assolutamente a disagio.

Thomas Bernhard



RITTER, DENE, VOSS


RASSEGNA STAMPA ESSENZIALE
Rivoltando il testo come un guanto, Sarti sa convincerci che Bernhard non è l’autore strabiliare che conosciamo, che il suo teatro di personaggi ibernati nella follia poggia su fondamenta comico-grottesche. (…) Si pensa a Durrenmatt, Frisch, Genet. La feroce parodia esplode in risate liberatorie, anche per la bravura dei tre attori in gara di emulazione caricaturale.

(Ugo Ronfani, Il Giorno, 9 marzo 2006)



Finalmente un Bernhard libero dai gravami della germanistica dotta e barbosa! (…) Bravissimo Sarti e bravissimi gli attori che ogni sera invertono i ruoli, creando spettacoli sempre diversi.Si divertono e si vede.(Luca Doninelli, Avvenire 12 marzo 2006)



(…) Renato Sarti incastona in scena una tragedia immobile e cui dà i colori e gli umori della parodia. Per questo suona ancora più tragica. E si ride. Le tragedie che si ripetono alla fine liberano un rigurgito di comicità. Fanno ridere, sghignazzare, ghignare, se interpretate con il giusto carisma. Come è nel caso di Ritter Bessegato, Dene Rosti e Voss Ganzerli, i quali di sera in sera si scambiano le parti. Così che il gioco delle parti dà vita ogni sera a tre spettacoli diversi, tre traduzioni sceniche, tre tradimenti, tre diversi esercizi di stile che finiscono sempre là dove non c’è fine: in tre tazzine, in tre sorsi di caffè. Gustateli con piacere.

(Gian Luca Favetto, Diario – 24 marzo 2006)



Sarti parte dall’idea di trasformare il sottile disagio familiare che impronta questa perfida pièce(…) in grottesca caricatura del degrado di una società ridotta a cupo teatro di burattini.(…) L’operazione ha il merito di porre la questione senza compromessi e mezzi termini.(Renato Palazzi, il Sole24Ore, 12 marzo 2006)(…) ci cattura in questo spettacolo di Sarti, scandito dalle immagini ossessive alle pareti di parenti lontani e recenti che raccontano una storia di borghese benessere, l’inaspettata, feroce leggerezza del tragico, così presente – si direbbe - in ogni battuta eppure così sfumato.A questo risultato spiazzante che diverte il pubblico, contribuiscono, a pari merito, il ritmo che Sarti è riuscito a infondere allo spettacolo oltre che l’azzeccata chiave di lettura e l’impegno e la bravura dei tre attori (…).Ne scaturisce un’intrigante partitura vocale e gestuale, emotiva e psicologica, ironica e comica mai scontata che si impone ben al di là della risata corriva e facile con tutta la crudeltà della vita.

(Maria Grazia Gregori, L’Unità – 26 marzo 2006)

Uora vo cunto

UORA VO CUNTO

ovvero Il Re topo fa alla guerra


testo e regia Domenico Pugliares, Renato Sarti


con Domenico Pugliares musiche in scena Enzo Di Caro


produzione Teatro della Cooperativa


Il re topo fa alla guerra è una storia “fantastica”, un’invenzione, una visione, una immaginazione dove gli animali di un’aia vivono un’avventura attuale ma eterna nella storia dell’umanità: la guerra.E’ una metafora sulla stupidità dell’uomo traslata nella “irrealtà” degli animali. Topi, capre, pecore e maiali si trovano ad affrontare una terribile guerra contro i dinosauri. Chi vince alla fine? La saggezza, qualità che noi uomini spesso abbandoniamo a se stessa.Ma Il re topo fa alla guerra è soprattutto tentativo e ricerca personale: tentativo di mescolare elementi della tradizione siciliana (i cunti e i canti) con elementi della Commedia dell’Arte con particolare riferimento a Beppe Nappa, unico zanni di origine siciliana; è tentativo di trasformare la cadenza delle filastrocche in ritmo recitativo. E’ ricerca di giochi di parole e di suoni, di armonie e disarmonie del dire nello sforzo di trovare un linguaggio personale che parte dall’amore per la propria terra.In scena un personaggio che narra la vicenda e un musico che accompagna gesti e suggestioni.Questa è la storia di un topo…e uora vo cunto come fu.Domenico Pugliares principia a camminare sul palco come musicista e suona il basso per circa dieci anni con “Oltre il Silenzio”, rock band siciliana. Comincia a studiare nel 2002 con la Scuola d’Improvvisazione Teatrale “Teatribù” di Milano con Andy Ferrari e Mari Rinaldi, con la quale partecipa a diversi spettacoli di teatro improvvisato (Match d’Improvvisazione Teatrale ®) diventando attore professionista e poi insegnante. Contemporaneamente, presso il Teatro della Cooperativa, studia con Alessandra Faiella (l’improvvisazione e il Teatro comico) e nel 2003/2004 con Renato Sarti (il Teatro e la parola) partecipando alla messa in scena di “Sogno di una notte di mezza estate”. A questa formazione si uniscono laboratori sulla costruzione del personaggio, sulle tecniche del monologo e sulla costruzione delle storie.Del Teatro della Cooperativa diventa collaboratore nell’estate del 2004, cominciando a lavorare con lo stesso Sarti assistendolo alla regia del nuovo spettacolo di Sergio Sgrilli; nella messa in scena de “La nave fantasma”; come attore in “Nome di battaglia Lia” sempre di Renato Sarti. Con la manifestazione “Monologhiamo” parte il tentativo di scrivere un monologo che dà vita a “Uora vo Cuntu…”, lavoro che lo vede attualmente impegnato.