giovedì 12 febbraio 2009

Paolo Rossi: recensione di Maria Grazia Gregori

Paolo Rossi. Sulla strada ancora

Magicamente, nella Scatola magica del Teatro Strehler, di fronte a un pubblico di poco più di 70 persone (tante la sala ne contiene) dove gli spettatori più piccoli incontrano spesso per la prima volta il teatro, quel grande bambino che è Paolo Rossi, ha ritrovato se stesso, regalando al suo pubblico un pezzo della sua storia. Anzi costringendolo ad accompagnarlo on the road su di una strada pericolosa che Paolo ha percorso in silenzio e nota solo agli amici e alle persone più care: un'assenza ben custodita, senza pettegolezzi. 

Certo si sapeva di uno spettacolo che doveva andare in scena ma svanito nel nulla, lo si era visto, un po' stralunato per la verità, ad alcune puntate di 
Che tempo che fa. Poi, il silenzio che ci aveva fatto capire che quell'irridente folletto, quel redivivo Lenny Bruce dei Navigli che sapeva prendere in contropiede il dolore e lo schifo e che volteggiava come un funambolo su quel crinale sottile che divide il dramma dal riso, si era esiliato dal mondo e soprattutto da quello che amava di più, il teatro. 

E ora eccolo qui di nuovo con la sua carica d'energia, con una malinconia che non gli conoscevamo, a raccontarsi rendendoci tutti felicemente suoi "complici". Lui a due passi da noi e noi a due passi da lui: quelli delle prime file lo possono addirittura guardare negli occhi e forse è per questo che li ha nascosti, dipingendosi profonde occhiaie scure e due enormi baffi rossi mefistofelici. Una sorta di piccola maschera, una grandguignolesca quarta parete perché può davvero essere difficile starsene del tutto nudo di fronte al pubblico. 

Allora "sulla strada ancora", come dice il titolo del suo spettacolo: come i comici antichi che inseguono una luna effimera, un'illusione del cuore. Anche se Paolo è un comico di oggi che non dimentica di avere cominciato a fare satira su "lui", ovvero Berlusconi, tanti anni fa. Come non dimentica che se stasera e tutte le altre sere sarà qui è perché deve dirci qualcosa e non può nascondersi dietro un dito. E allora lo fa magari cominciando con una battuta: meglio un ubriacone famoso che un alcolista anonimo. 

È di questo, del resto, che Rossi ci vuole parlare, sia pure attraverso una dilatazione grottesca di incontri impossibili: di sé, della sua malattia, del suo ricovero in una clinica per sconfiggere le dipendenze, della sua incapacità di salire in palcoscenico con uno spettacolo finito prima della prima e dedicato all'amatissimo 
Ubu re di Jarry, sia pure in chiave 2000, del non riuscire più a scendere per la strada per capire la vita della gente, della disperazione degli amori, della sostanziale difficoltà a vivere nel bisogno insopprimibile di cercarsi un punto di fuga, credendo di stare meglio e stando sempre peggio. 

In questo spettacolo scritto con 
Stefano BenniCaterina de la Calle Casanova e Renato Sarti che firma anche una regia colma di sentimento, Paolo Rossi non dimentica l'amato Shakespeare dell'amatissimo Riccardo III, quell'inverno del nostro scontento, quel bisogno di fuggire, barattando un regno per un cavallo, come non dimentica la chitarra, l'humour sia pure nero, né di togliersi qualche sassolino nella scarpa, quegli attori impegnati a fare stretching prima di interpretare il gobbo di Notre Dame, i fighetti assatanati dalla forma fisica perennemente in palestra e Dio che gioca a golf facendo ben presto buca grazie all'aiuto dello spirito santo... Né dimentica di essere un impagabile borderline che sa molto bene che la comicità non è mai un pranzo di gala. E il pubblico lo ripaga con risate e applausi, catturato dalle sue discese fra la gente, da quell'aria un po' stropicciata di un ex ragazzo di 54 anni che se l'è vista brutta sulla propria pelle. E allora... ben tornato - come si diceva un tempo - little king Paolo Rossi.


Maria Grazia Gregori

( www.delteatro.it )

2 commenti:

Anonimo ha detto...

VISTO!!!
BELLISSIMO!

Anonimo ha detto...

Ho visto lo spettacolo ieri sera...emozionante, vero e amaro-ironico. Complimenti Paolo, davvero, e ben tornato.