Lo strapotere Inter alla prova Champions
E adesso chi la piglia? Dalla contesa per il ruolo di squadra anti-Inter Juventus e Sampdoria escono sconfitte alla pari. I nerazzurri, con due vittorie in una settimana, scavano una fossa di 7 punti tra sé e i suoi segugi, lasciandoli con la lingua penzoloni. Adesso, bianconeri e blucerchiati hanno le stesse possibilità matematiche di raggiungere la lepre che ha la Roma di raggiungere loro. Sette punti di vuoto tra la prima e le seconde. Altri sette, molto affollati, tra le seconde e la quattordicesima. Un distacco record, quello in testa, a questo punto della stagione. Certo, come si usa dire per lenire lo scoramento «la strada per lo scudetto è ancora lunga». Ma su questa sorta di Camino de Santiago de Compostela che è il campionato a venti squadre l'Inter procede in motorino e le più fortunate delle altre in bicicletta. Superata la salita-Samp con ritmo indiavolato a metà settimana, la Juve sembrava decollata. Buffon, che invocava la scintilla che ne riaccendesse il fuoco agonistico ultimamente assopito, era rimasto impressionato dall'annichilente (per gli avversari) exploit dei suoi compagni al punto di parlare di «esplosione nucleare». A posteriori, una più moderata scintilla che accendesse un focherello duraturo sarebbe stata meglio di un botto fragoroso rivelatosi effimero.Solo tre giorni dopo, infatti, nel secondo tempo contro il Napoli la Juve è «scoppiata» (che è sempre una cosa rumorosa, ma diversa da un'esplosione di salute), facendosi rimontare due gol e subendone un terzo, valido per la sconfitta. Ferrara ha definito la débacle «un pugno in faccia». E questo ha giustificato l'espressione groggy che ha mostrato alle telecamere nel dopopartita. Ma c'è qualcosa che non va in questa Juve creata per vincere senza badare troppo a spese. I 50 milioni investiti in estate per il duo brasiliano Felipe Melo-Diego tardano a fruttare interessi. Fa pensare, in particolare, che il meccanismo, all'inizio promettente, si è inceppato dopo l'infortunio di Marchisio, che non è costato nulla. Poi, più che godere della fantasia di Diego si invoca quella di Del Piero, ancora in lenta ripresa dai sui acciacchi. E più che compiacersi della muscolarità di Melo, pagato 25 milioni alla Fiorentina, si rimpiangono le geometrie di Zanetti, ceduto agli stessi viola per 2. Comunque non c'è tempo per rimuginamenti. L'infermeria è affollata (e anche questo non può essere imputato solo alla sfiga) e gli impegni incalzano. Domani è già di nuovo Champions League e i bianconeri vanno a far visita al Maccabi Haifa, battuto a Torino con affanno e grazie alle prodezze di Buffon. Jean Claude Blanc, capo supremo bianconero, aggira con cura le «r» che esaltano la sua francesità ma pronuncia parole inequivocabili alla truppa confusa: «Sono finiti i jolly», proclama. Il che vuol dire che da qui in poi ogni scivolone verrà esaminato senza troppa accondiscendenza, a partire dal rampollo di famiglia Ferrara, sollecitato a riprendersi in fretta dal ko infertogli dall'allegro Napoli di Mazzarri.Sul fronte doriano, non bastasse la batosta con la Juve e il successivo pareggio in casa col Bari, ci mette del suo Cassano per stemperare l'allegria che ne aveva accompagnato l'andatura fino ad ora. Ha sentito fischi provenienti dal suo pubblico, FantaAntonio. Ed è un suono, quello, che non gli piace. Dunque torna sanguigno come piace a Fascetti, suo primo allenatore in serie A quand'era ancora un bebé e che a vederlo così composto come si è manifestato negli ultimi tempi sembrava quasi «sedato». Ma sono bastati un po' di fischi e qualche mugugno a risvegliare il «ragazzaccio» che c'è il lui. E così ha minacciato di fare le valigie e andarsene via, come ha già fatto da Roma e da Madrid nel suo passato da pazzerellone. Ha invitato il pubblico doriano ad accontentarsi del secondo posto, che è già grasso che cola, negandogli ogni diritto di dissenso. «Qui sono abituati troppo bene», ha ringhiato. Dimenticando che ad abituarli bene è stato innanzitutto lui con le sue fantasmagoriche giocate, che sono delizia per tutti quando le spara, croce per lui quando gli rimangono in canna. Condizione condivisa da tutti (anche se pochi) quelli da cui ci aspetta sempre quel qualcosa in più che fa la differenza. Uno scatto d'intemperanza cassaniana che rincuora non solo Fascetti, che può finalmente riconoscere il «suo» inquieto ragazzo di strada di Bari Vecchia, ma pure Lippi, che diffidando della sua inedita compostezza resiste ad ogni sollecitazione ad affidargli le chiavi dell'attacco azzurro.Vari, comunque destabilizzanti per tutti i contraccolpi dello strapotere dell'Inter. Almeno in Italia. Perché nell'Europa di Champions deve ancora vincere una partita. Ed è ora che ci riesca se non vuole rimanerne fuori prima ancora che il gioco si faccia duro davvero. A cominciare da Kiev, domani, dove Mourinho non potrà contare su qualcuno dei suoi «insostitubili». Però la rosa che ha a disposizione non gli consente alibi, anche ammesso che ci si voglia appendere, cosa improbabile perché lo ridimensionerebbe ad una taglia Normale troppo striminzita per uno Special One. Ma la partita Champions con più appeal è quella del Milan col Real Madrid, già battuto al Bernabeu. E' il ritorno a San Siro di Kakà, il grande rimpianto. Occasione più che mai propizia (specie per Ronaldinho) per una performance da «Milan di Coppe», euforizzante e scaccia-nostalgie al contempo. B
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