venerdì 15 gennaio 2010

Il commento di Aldo Giannuli


Qualche considerazione sul fallimento della conferenza sul clima.

L’esito deludente (per chi si era illuso) della conferenza di Copenaghen sul surriscaldamento del clima offre lo spunto per riflessioni di diversa natura.In primo luogo, appare evidente l’impotenza della politica a governare le emergenze del nostro tempo e questo è in primo luogo il prodotto del prevalere della logica di mercato su quella politica. Ci sono decisioni che non possono essere assunte sulla base di considerazioni economiche, anzi, che comportano costi economici e da imporre con la forza al mercato. Tanto più dove la logica economica abbia eliminato ogni considerazione di ordine macro economico e si affidi alla razionalità dell’agire economico del singolo operatore (come insegna l’ideologia neo liberista di von Mises e von Hayek).Per il singolo imprenditore l’unico scopo è quello di massimizzare il suo profitto individuale. Pertanto, sarebbe molto meglio non avere nessun gravame fiscale. E, se pagare tasse in cambio di servizi può essere accettato (salvo scaricare il più possibile i costi sugli altri ed appropriarsi dei quanti più benefici possibile) è assai meno accettabile l’idea che il denaro pubblico venga speso per fini sociali (come la sanità, la cultura, i trasporti non remunerativi ecc.) o per ragioni esclusivamente politiche (aiuti a paesi i via di sviluppo, partecipazione a missioni internazionali, promozione internazionale della cultura nazionale, ecc.).
Eppure, scelte del genere devono essere fatte e non possono dipendere dal calcolo dei benefici economici, per di più nel breve periodo. Il clima è uno di questi casi: prendere misure atte a contenere (se non fermare o invertire) la tendenza al surriscaldamento globale impone costi immediati anche non lievi allo scopo di evitare costi assai peggiori ma in un futuro imprecisabile. Si badi: tutto lascia intendere che il “punto di non ritorno” non sia lontanissimo nel tempo, forse qualche anno, forse un decennio o poco più, ma non sappiamo affatto come si manifesteranno gli effetti finali del processo e in che arco di tempo. E’ ragionevole ipotizzare che i costi saranno molto più pesanti di quelli che non dovremmo affrontare ora, ma chissà quando e come si manifesteranno: il mercato è miope e poco sensibile ai problemi di chi verrà.
La globalizzazione, intesa in primo luogo come selvaggia libertà di mercato, ha agito come un gigantesco moltiplicatore di queste tendenze e costituisce oggi il principale ostacolo a qualsiasi decisione: la politica è legata alla dimensione dello Stato nazionale (piaccia o no) ma la volatilità internazionale dei capitali supera facilmente le barriere nazionali, per cui ogni decisione deve fare i conti con il rischio di vedersi volatilizzare i capitali interni.E, dunque, è da qui che dobbiamo partire.
21 dicembre ‘09

Nessun commento: