mercoledì 20 maggio 2009

Quando gli immigrati eravamo noi...

Non amano l'acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l'elemosina ma soventedavanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempreanziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostredonne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perchési è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in stradeperiferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma,soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nelnostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali". La relazione così prosegue: "Propongo che si privilegino i veneti e ilombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri alavorare. Si adattano ad abitazioniche gli americani rifiutano pur che le famiglie rimangano unite e noncontestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran partedi questa prima relazione, provengono dal sud dell'Italia. Vi invito acontrollare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione".

Il testo è tratto da una relazione dell'Ispettorato per l'Immigrazionedel Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti,Ottobre 1912

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