martedì 29 settembre 2009

Il commento di Aldo Giannulli

parà della Folgore caduti in Afghanistan.
www.aldogiannuli.it

Giovedì scorso, all’inizio della seduta del Consiglio di Facoltà, un rappresentante degli studenti, ha chiesto un minuto di silenzio per i sei parà della Folgore caduti in Afghanistan. Insieme a pochi altri colleghi, non mi sono alzato: la cosa mi sembrava falsa e rituale, anche se le intenzioni di chi l’aveva proposto e di chi vi partecipava erano probabilmente le migliori. Non mi piaceva.
Ho poi letto di siti (presumibilmente di estrema sinistra, area alla quale mi sento di appartenere) che parlavano di “lotta antimperialista”, definendo i sei “mercenari fascisti”, ho visto le scritte lasciate sui muri di Milano che dicevano “-6”, ho saputo del parroco di Monte di Rovagnate che ha definito, anche lui, fascisti i parà e ho letto su un sito un invito a brindare alla morte dei sei. Respingo l’invito come il precedente. Non mi piace, anzi, a dirla chiara, lo trovo ripugnante.
Per quanto io non sia un non violento ostile per principio all’uso delle armi, non mi va di brindare alla morte di sei persone. L’ho fatto una sola volta in vita mia (e lo rifarei): alla morte di Carrero Blanco, perchè quello significava l’inizio della fine della dittatura fascista in Spagna. Ma, in generale, non mi rallegra l’uccisione di nessuno, neanche di un mafioso o di un nazista. La lotta armata può essere moralmente giusta e politicamente necessaria, questo non toglie che non è mai una festa da ballo.
Ma lasciamo da parte gli aspetti morali o legati alla sensibilità umana; quello che conta è il profilo politico.
Mi sembra che ci siano due visioni perfettamente speculari di quello che sta succedendo in Afghanistan. Per la prima, i soldati occidentali sono crociati della democrazia e della libertà (soprattutto della donna) e chi li attacca sono solo terroristi, selvaggi da distruggere, mentre, ovviamente, la popolazione è dalla parte del legittimo governo Karzai, retto dalle armi della coalizione. Per gli altri, c’è in corso una lotta di popolo (di tutto il popolo) contro una turpe aggressione imperialista e i soldati che la attuano sono tutti mercenari fascisti.
Sono esattamente la stessa versione che cambia il segno positivo o negativo davanti al nome dei contendenti. Ragionamenti da tifoseria calcistica, che non hanno nulla a che fare con l’analisi di quel che effettivamente succede a Kabul e dintorni.
In primo luogo: l’attacco era iniziato con lo scopo dichiarato di catturare Osama Bin Ladin e il mullah Omar e con quello aggiuntivo di fare dell’Afghanistan un paese democratico. Dopo otto anni (dicesi otto anni) di occupazione militare, nessuno dei due è stato catturato, la guerriglia dei talebani prosegue imperterrita e nessuno può decentemente sostenere che il regime corrotto e mafioso di Karzai abbia niente a che fare con la democrazia. Tanto che persino la Ue è stata costretta a non riconoscere i risultati delle elezioni, avendo riscontrato brogli nel 10% dei seggi ( e se nel 10% dei casi sono stati appurati e comprovati, immaginiamo quale possa essere la percentuale reale). Nessuna persona di buon senso farebbe Karzai neppure amministratore del proprio condominio.
La verità è che è in corso una occupazione militare che va molto al di là dell’originario mandato Onu (già in se molto discutibile), che questo non c’entra con la fondazione di un regime democratico, quanto con il controllo di una zona strategica per la presenza dei condotti energetici. A tutto questo si è aggiunta, più recentemente, una ulteriore ragione militare: la prossimità al confine cinese, in un momento in cui si profila uno scontro fra Usa e Cina. Tutto il resto è mitologia.
D’altra parte, se c’è una guerra in corso, non si può pretendere che si spari da una parte sola. E dunque, il cordoglio rituale per i caduti maschera solo la cattiva coscienza di chi sa che i soldati italiani sono truppe di occupazione, sa che in guerra si spara e si muore da tutte due le parti, però si costerna solo quando a cadere sono i suoi soldati ed accoglie la notizia come una sciagura imprevista. Di quelle morti non sono responsabili solo quelli che hanno innescato la bomba che le ha provocate, ma anche quanti hanno mandato lì quei soldati e quanti sostengono che devono restarci.
Ma tutto questo non significa che si debba fare il tifo per i talebani. In primo luogo, mi sembra di ricordare che sono gli stessi che hanno combattuto per dieci anni contro l’invasione sovietica, ma non ricordo particolari trasporti di simpatia dell’estrema sinistra per loro (quella non era una aggressione imperialista? Che ne dite?). All’epoca, mi sembra di ricordare, se ne parlava come di agenti della controrivoluzione, sostenuti dall’imperialismo americano e dai loro lacchè sauditi, che volevano instaurare un regime oppressivo ed oscurantista. Ve ne ricordate?
Beh, non è che siano cambiati nel frattempo: il Mullah Omar continua a non essere Che Guevara.
In secondo luogo, il popolo afghano non sembra gradire l’occupazione americana, ma sembra gradire ancor meno i talebani del cui regime non serba un gran bel ricordo. E dunque, andiamoci piano prima di dipingere scenari di lotta di popolo contro il bieco imperialismo ed i suoi mercenari fascisti. A proposito: per quanto l’occupazione militare occidentale sia un regime oppressivo e gli occupanti ne faranno di tutti i colori, non pare che si possa parlare di qualcosa di paragonabile all’occupazione nazista e, per quanto quella dell’esportazione della democrazia sia una favola, definire fasciste le forze occupanti è un po’ forte. Anzi: è proprio una bestialità. Il mondo non è colorato in nero-fascista e rosso-rivoluzionario: ci sono molti altri colori.
Ed attenzione anche a questo uso disinvolto del termine “mercenario”: confondere dei soldati di un esercito regolare con dei mercenari, può avere l’effetto poco simpatico di nascondere il fenomeno molto preoccupante dei contractors che, invece, merita molta attenzione.
Insomma, il tifo lasciamolo negli stadi: la politica è una cosa seria.

Aldo Giannuli, 21 settembre '09

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