
Il Teatro della Cooperativa dà l'ultimo saluto ad Harold Pinter.
UN REGALO ORIGINALE?
Quest'anno ti offriamo una soluzione diversa dal solito e culturalmente stimolante.
Hai la possibilità di acquistare come regalo un voucher al prezzo speciale di 18 euro valido per due spettacoli a scelta tra quelli in programmazione da gennaio a maggio 2009 tra le produzioni Teatro della Cooperativa e le ospitalità, compresi gli spettacoli inseriti all'interno dellaRassegna Basaglia e la diversità.
INFO: promozione@teatrodellacooperativa.it
tel. 02.64749997 (lun - ven h.15/19)
BUONE FESTE
Orario: mart-ven 20.45/dom 16.00
Prezzo: 15.00-8.00 e
PROGETTO MORAVIA
Spettacoli / incontri / Film
Un’idea di PACTA
in collaborazione con ScenaAperta/Polo teatrale dell’Alto milanese, Villaggio Barona, Coop.
Chico Mendes, Teatro della Cooperativa, Fondazione
Cineteca Italiana
Nel panorama letterario italiano, permane (e non
possiamo non ricordare) l'opera di uno scrittore che
divenne nel corso dei decenni un lucido fustigatore della
decadenza della classe borghese alla quale lui stesso
apparteneva: Alberto Moravia. Giornalista, saggista.
romanziere prolifico e di grande successo ma anche
autore di teatro. Il suo sottile indagare e sferzare la vita
sociale, politica ma anche sessuale dei suoi personaggi
fa di lui uno scomodo interprete di più di 50 anni di vita
italiana. I temi della sua prosa oscillano tra indifferenza e
noia, passando attraverso i sensi e la sensualità, presunti
strumenti di liberazione,
Il Progetto Alberto MORAVIA intende esplorare una
parte del vasto mondo di Moravia : la messa in scena di due suoi testi , uno letterario, GLI
INDIFFERENTI alla prova (tratto dal celebre romanzo) e uno teatrale, BEATRICE CENCI,
entrambi per la regia di Annig Raimondi. Sono due opere solo all’apparenza diverse fra loro, ma, in
realtà , se il raffronto viene posto nei termini fondamentali di natura e storia, , risultano essere
complementari e gettano le coordinate per scoprire il particolare sogno innocente che si nasconde
dietro ad ogni esistenza scandagliata da Moravia.
Altri eventi collaterali, che PACTA ha organizzato in collaborazione con diversi organismi di città e
provincia, collegano il cinema al giornalismo e al teatro, seguendo il percorso poetico compiuto da
un uomo solitario davanti alla sua macchina da scrivere, ma anche da un infaticabile viaggiatore e
un vitalissimo biografo dell’anima.
Entrambi gli spettacoli sono inseriti nell’abbonamento “Invito a Teatro”
tagliando PACTA.dei Teatri
GLI INDIFFERENTI alla prova (prima nazionale)
Progetto Moravia - La vecchia e la nuova società si raccontano
Dal romanzo 'Gli Indifferenti' di Alberto Moravia
Progetto e regia Annig Raimondi
Con Marino Campanaro, Maria Eugenia D'Aquino, Marco Pezza, Annig Raimondi, Serena
Marrone
Musiche Maurizio Pisati
Quando Alberto Pincherle, in arte Alberto Moravia, scrisse il suo
primo romanzo, 'Gli Indifferenti', non aveva ancora compiuto
diciotto anni. Erano i tempi cupi del fascismo. L'opera, inizialmente
censurata, fu in seguito un successo e divenne il manifesto di una
generazione.
Il sottotitolo potrebbe recitare: "Corruzione e caduta di una famiglia
borghese".
Il soggetto si sviluppa, secondo un'operazione di
'smascheramento', in un ristretto ambiente borghese con soli
cinque personaggi: gli Ardengo - la madre Mariagrazia, il figlio
Michele, la figlia Carla, l'affarista Leo Merumeci e l'amica di tutti
Lisa.
La storia è presto detta.
Carla è insidiata dal libertino Leo, amante della madre, il quale
mira ad impadronirsi del patrimonio di famiglia. Egli è facilitato
dalla particolare situazione in cui si trova Carla, desiderosa di
uscire da un'esistenza mediocre, contrassegnata da una
decadenza e una corruzione insostenibili. Leo, dopo molti tentativi,
riesce a portare Carla a casa sua. La madre Mariagrazia, eccitata
da false ambizioni e preoccupata solo del decoro sociale, non si
accorge del mondo che frana intorno a lei. L'oscura tresca viene scoperta da Lisa, ex amante di Leo e amica
di Mariagrazia, che rivela tutto a Michele, il fratello, di cui lei è innamorata. Il giovane Michele, soggiogato
dall'apatia morale, incline a una vita fondata più sui sogni e le fantasticherie che su un'effettiva
partecipazione agli eventi concreti della vita, tenta di ribellarsi affrontando ripetutamente Leo. Alla fine, la
'sudicia avventura' pare capovolgersi...
'Gli Indifferenti alla prova' è una favola contemporanea in cui Sesso e Denaro la fanno da padroni. Seguendo
le regole di una partita a carte scoperte, ciascun personaggio cerca una 'lealtà di visione sviluppando il
soggetto in continuo dialogo con l’autore/narratore. Nello spettacolo, questa particolare figura ha un ruolo
quasi "polifonico", "dialogico", in cui cioè la sua 'voce' si confronta, con la 'voce' autonoma dei personaggi ,
cosicché il rapporto - aperto, conoscitivo - con la realtà emerge dal continuo incrociarsi dei punti di vista dei
vari personaggi e del narratore.
Avvolta dai miasmi, l’aggrovigliata situazione famigliare narrata (e giocata) vuole anche rifarsi alle grandi
tragedie shakespeariane e dostoievskiane, ma, di fatto e per 'forza di storia', finisce in farsa. Sullo sfondo, si
compone l’affresco di una società borghese in rovina che si auto esalta in chiacchiere stereotipate e siparietti
comici.
Annig Raimondi






vo a conoscere la grande fabbrica, i reparti, le storie dei binari, di treni malconci da riparare, i termini tecnici da usare, e pian piano, l’immagine di questa immensa mappa di industria e di fatica prendeva forma ai miei occhi. Centinaia di storie, di uomini, di episodi, di dignità spesso calpestate eppure ancora integre. Mi accompagnava, in questa ricerca, l’operaio Umberto Pancotto, mio paziente Virgilio, che ha saputo guidarmi in quei gironi infernali, tra fon-derie, falegnamerie, carpenterie, carri ferroviari. Ho incontrato l’operaio Pietro Emili, memoria storica della fabbrica, una vita nel sindacato e nell’impegno politico. A lui devo tanti particolari che so ora raccontare. Ho scoperto Augusto Coppini, il pugile operaio, forse la figura che più di tutte ha influenzato la nostra scrittura: l’Augusto di Vita d’Adriano è pro-prio lui, con i suoi sogni, le sue incazzature, la sua fisicità, il suo amianto, i suoi silenzi. Adriano usa
una lingua “strana”, mai usata a teatro, questa specie di marchi-giano, tanto sconosciuto che sembra inventato, e in qualche maniera lo è. Ho dovuto lottare contro le mie resistenze di attore e scardinare la mia dizione accademica per ficcarmi in bocca una lingua madre così “impura”; e se ci sono riuscito, lo devo anche all’insistenza di Francesco Niccolini, a cui molto devo in termini di scrittura e di struttura di questo monologo, nonché al giovane ingegnere-scrittore Andrea Chesi. La parlata di Adriano mi permetteva immediatamente di abbandonare qualsiasi tono teatrale, arrivava così, senza pudore, come una confessione. Tra mille dubbi, bisognava capire se si era sulla giusta strada: ho comin-ciato allora a leggere questa storia ovunque, in casa di amici, in giardino, in sale di ascolto. Poi, le prove aperte a teatro. C’è stato il progetto di residenza nel bellissimo teatro delle Logge di Montecosaro, lì potevamo ospitare ogni sera, per circa un mese, tante persone, abitanti del luogo, donne, ragazzi, anziani perlopiù, che dopo la cena venivano a veder nascere uno spettacolo, che sembrava parlasse di loro. Una sera temeraria ho tentato pure un’uscita all’esterno: mi sono piazzato con una sedia nel bel mezzo di un’accesa partita di bocce, a chiedere ascolto. Temevo mi avrebbero preso a bocciate in testa. E invece, dopo il primo sconcerto e qualche bestemmia degli anziani giocatori, è cominciato a calare un silenzio che a poco a poco diveniva ascolto assoluto. Alla fine, applauso spontaneo, e la partita di bocce poteva velocemente riprendere. La strada era giusta. Si potevano invitare a teatro i cecchettari, sì, toccava agli operai, quelli veri, per una anteprima tutta per loro. Forse l’emozione mia più grande: recitare davanti ai protagonisti la loro storia. Negli occhi di quegli uomini, così scomodamente seduti da chiedere quasi scusa della loro presenza, tra arazzi e poltrone di lusso di un teatro storico, capivo stupore incredulità e orgoglio: essi vedevano la loro vita diventare un monumento grande un’ora. Tutte queste persone mi hanno insegnato il linguaggio della dignità. Lo spettacolo ha debuttato nella sua forma definitiva il 14 luglio 2007, nell’area delle ex fonderie Marinelli, nel cuore della vecchia Civitanova operaia, davanti a mille spettatori.
a storia che non è solo sua ma di una intera generazione di lavoratori, quelli nati nei primi anni del secolo, o ancora prima, passati attraverso uno spaccato d’epoca febbrile: dalla guerra alla presa di coscienza politica, agli scioperi, l’attentato a Togliatti e la belva-polizia scelbiana che uccide trecento operai nel sangue delle piazze d’Italia. Fin quando non arriva la beffa, l’amianto, per molti anni utilizzato nella fabbrica, qui nel fantomatico reparto 500 “quello che nisciù ha visto mai e che da frico me facìa paura solo a sentillo nominà.” L’amianto, appunto, la neve che il cecchettaro ha respirato: “a la Cecchetti c’è entrato nel ’56, come i compagni russi in Ungheria, e l’effetto, più o meno è stato quello. C’ha messo li stessi anni a distrugge tutto” è la sintesi più amara. Questo è stato il colpevole costo del Capitale in fatto di vite umane. E nei prossimi anni si prevedono i picchi maggiori di mortalità. “Costruirono le stelle del mare, li uccise la polvere, li tradì il profitto” è la frase posta sotto il monumento alle vittime dell’amianto ai cantieri navali di Monfalcone. È dello scrittore Massimo Carlotto, anche lui autore di un testo teatrale su questo argomento. Parafrasando quella frase, per gli operai della Cecchetti si potrebbe dire: “Costruirono treni magnifici, li uccise la neve, li tradì il profitto”.

E' VIETATO DIGIUNARE IN SPIAGGIA.
candidata al Premio Nobel per la Pace, vincitrice del Premio Lenin, essere quasi del tutto cancellata dalla memoria collettiva? Nel nostro paese sì. E molto spesso tocca al mondo dell’arte ridare vita a figure importanti che le istituzioni non hanno saputo - o voluto - mantenere vive. Anche se nella sua vita Dolci è stato architetto, sociologo, pedagogo, poeta, e si è occupato dei problemi della fame in Sicilia, dell’acqua, della mafia, della comunicazione di massa, “È vietato digiunare in spiaggia” tratta soprattutto del famoso processo che subì per aver organizzato lo sciopero alla rovescia il 2 febbraio 1956. L’articolo 4 della Costituzione sancisce: La Repubblica italiana riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta una attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società. Per protestare contro la disoccupazione e la miseria, invece di incrociare le braccia o assaltare sedi padronali o istituzionali, era intenzione dei manifestanti protestare in modo assolutamente pacifico, sistemando una vecchia strada impraticabile. L’azione non violenta non fu portata a termine per l’intervento delle forze dell’ordine. Dolci fu incarcerato, processato e, nonostante l’arringa in sua difesa fosse pronunciata da Calamandrei - uno dei padri della Costituzione Italiana – condannato. Un paradosso che si fa teatro, capace di evocare dai piccoli fatti quotidiani ai grandi dilemmi, l’Italia lacerata di quei tempi. La ricostruzione del processo e della realtà in cui si svolsero i fatti scorre, alternando poesie di Dolci, filastrocche dei cantastorie, arringhe degli avvocati e requisitorie del Pubblico Ministero (raffinati esempi dell’arte oratoria), pregnanti testimonianze dei contadini di Partinico, siparietti brechtiani che ricordano la tecnica recitativa estraniata dei Pupi siciliani. Sul palco da una parte cinque attori che di volta in volta danno voce ai poveri, agli avvocati, al pubblico ministero, agli onorevoli che, dopo l’arresto di Dolci, infiammarono la Camera e il Senato con vibranti interpellanze parlamentari; dall’altra un attore, Paolo Triestino, nella figura di Dolci, che ascolta, comprende, traduce in lotta non violenta e amplifica a livello nazionale le tragedie della Sicilia affamata e violenta degli Anni Cinquanta. Franco PeròRenato SartiIl ruolo di Calamadrei sarà interpretato ogni sera da personalità diverse che si sono contraddistinte nella difesa della Costituzione, dei diritti civili e della pace: fra gli altri Fausto Bertinotti, Omero Antonutti, Gianni Barbacetto, Augusto Bianchi, David Bidussa, Norina Brambilla Pesce (Associazione Nazionale Partigiani Italiani), Gian Carlo Caselli, Lucia Castellano (Casa Circondariale di Bollate), Gherardo Colombo, Vincenzo Consolo, Cecilia Di Lieto (Radio Popolare di Milano), Daniela Dolci, Nedo Fiano, Don Gallo, Luigi Ganapini (Fondazione ISEC – Istituti per la Storia della Resistenza), Carlo Ghezzi (Fondazione Di Vittorio), Carlo Lucarelli, Dacia Maraini, Chiara Marchini (Emergency), Lidia Menapace, Vera Michelin Salomon (Associazione Nazionale Ex Deportati), Raffaele Morvay, Moni Ovadia, Leoluca Orlando, Edda Pando (Arci), Livia Pomodoro, Virginio Rognoni, Armando Spataro, Marco Travaglio, Giuliano Turone.
u degli interpreti di lingua siciliana a loro agio in quel mondo rude di pescatori che affiancano il bravo Paolo Triestino nel ruolo di Dolci. (…) Da vedere per ricordare e conoscere.
IO SANTO, TU BEATO (risate)
nte la loro opera nel sociale, e i vertici della gerarchia ecclesiastica.Pio XII e Padre Pio si incontrano in un ipotetico aldilà. Il primo parla un latino maccheronico, il secondo si esprime in dialetto pugliese. Dapprima i due rievocano alcune pagine della storia della Chiesa: inquisizione, crociate, vita dissoluta di alcuni papi, discriminazione verso le donne, recenti casi di pedofilia.Nel frattempo, scoprono che - siccome Papa Giovanni Paolo II ha fatto 482 santi e 1338 beati - l’accesso al Paradiso è intasato e al momento è rimasto disponibile un solo posto. Dopo i convenevoli di rito, tra i due si scatena una contesa senza esclusione di colpi. Papa Pacelli, pur riconoscendo a Padre Pio le sue indiscutibili doti, non gli risparmia l’accusa di aver trasformato San Giovanni Rotondo nella Las Vegas del Gargano, alimentando un business paganeggiante in stridente contrasto con il voto francescano di povertà. Incalzato dalle accuse, Padre Pio passa al contrattacco: pur non negando che durante la Seconda Guerra Mondiale migliaia di ebrei, grazie all’aiuto di sacerdoti e suore, abbiano trovato rifugio presso parrocchie e nei conventi, gli rammenta il suo silenzio rispetto alla Shoah e l’avallo di importanti esponenti della Chiesa nei confronti del nazismo. A dirimere la contesa, con l’aiuto del pubblico, arriverà Dio in carne ed ossa.Per secoli la Chiesa ha osteggiato il teatro e demonizzato la Commedia dell’Arte, che sovvertiva i valori andando contro l’ordine costituito e il potere ecclesiastico allora dominante.Per secoli gli attori sono stati seppelliti in terra sconsacrata, hanno visto censurati i propri spettacoli, sono stati costretti ad autentiche peregrinazioni e alla fame. Che sarà mai, dunque, se per una volta il teatro si prende una rivincita, specie se lo fa attraverso gli elementi tipici della Commedia dell’Arte, attraverso lo sghignazzo e la scurrilità, lo sberleffo e la maschera, la gestualità ed un forte coinvolgimento del pubblico.Ben sapendo che la farsa è uno dei rivelatori più sensibili della realtà, l’obiettivo non è attaccare un sentimento profondo come quello della fede, ma piuttosto analizzare criticamente il rapporto spesso contraddittorio tra gli uomini di Chiesa che operano nel so
ciale e sono in prima linea fra gli ultimi della terra e i vertici della gerarchia vaticana.Scherza con i fanti, ma lascia stare i santi: noi siamo contrari a questo tabù. Nella speranza di non incorrere nello stesso pericolo del clown Leo Bassi, che ha rischiato di saltare in aria per una bomba collocata nel teatro dove recitava una piece dissacrante sulla Chiesa, Io santo, tu beato…risate. (Renato Sarti)In scena, oltre ai protagonisti Renato Sarti (Pio XII) e Bebo Storti (Padre Pio), la cantante Delma Pompeo, mentre Daniele Luttazzi presterà la sua voce per le notizie di Radiomariacensura; le musiche originali sono di Carlo Boccadoro e le scene di Carlo Sala.
LA NAVE FANTASMA